Il prof. Borgna sarà docente delle Vacances de l'Esprit 2007.
Articolo apparso su L'arena di Verona, 25 gennaio 2002
C'è un territorio della nostra mente e della nostra anima in cui trovano asilo tutte le impressioni che l'esistenza ci dona e che i ritmi frenetici del vivere quotidiano spesso rischiano di travolgere: questo scrigno prezioso che contiene il senso stesso della nostra umanità è L'arcipelago delle emozioni , come lo chiama Eugenio Borgna, psichiatra e libero docente in Clinica delle malattie nervose, che così ha intitolato il suo ultimo saggio (Feltrinelli, 219 pagine, 30.000 lire, 15,49 euro). All'opposto di molti suoi colleghi che con la sofferenza psichica hanno un rapporto meramente tecnico, Borgna, animato da una vocazione umanistica oltre che scientifica, si cala nell'individuo prima che nel paziente, avvalendosi dell'apporto della letteratura, della filosofia, delle scienze umane. "Un discorso radicale sulle emozioni - sostiene il professore - esige un'alleanza con le scienze umane, con quelle letterarie in particolare, senza le quali non sarebbe possibile delimitare e analizzare un soggetto-oggetto così camaleontico e così complesso".
- Professore, quanto è vasto l'arcipelago delle emozioni?
"Le emozioni sono infinite. Nel mio saggio parlo dell'amore e dell'odio, che oggi hanno un'importanza impressionante. Ma anche della noia e della malinconia, della simpatia e dell'antipatia, dell'angoscia e dell'inquietudine. Comune a ciascuno di questi sentimenti è la capacità di portarci fuori dal nostro egoismo e dal nostro io, di metterci in contatto con qualcuno o qualcosa. Amo qualcuno, odio qualcuno, ho simpatia per questa persona o per quell'altra: un sentimento implica necessariamente un uscire da noi stessi per cercare di cogliere quello che le altre persone sono nella loro realtà più profonda e nelle loro emozioni. Solo se la ragione diventa passione, diceva Leopardi, è possibile una conoscenza profonda e radicale degli altri e di noi stessi".
- Psichiatria e letteratura: qual è il rapporto tra queste due discipline apparentemente tanto diverse?
"I grandi psichiatri del nostro tempo - quelli che hanno negato che la psichiatria fosse soltanto ricerca di meccanismi biologici e affermato invece che essa concerneva la condizione umana nella sua globalità e complessità - hanno sempre sostenuto che per conoscere un altro, soprattutto se divorato dall'angoscia e dalla disperazione, sono più utili i testi di filosofia che non quelli di psichiatria. Grandissimi psichiatri come Karl Jaspers, Siegmund Freud o Carl Gustav Jung hanno messo in evidenza come l'oggetto della psichiatria non sia il cervello - altrimenti si tratterebbe di "encefalografia", - ma il soggetto nel suo insieme, ovvero l'intreccio dei sentimenti e delle emozioni, anche impazzite, che egli vive. Per studiare una materia così complessa la psichiatria può allearsi con le intuizioni, le conoscenze emozionali dei grandi poeti e filosofi".
- A tutto ciò lei aggiunge l'enorme vocazione umanistica che emerge dal suo lavoro?
"Anche in Italia tutti gli psichiatri che hanno aperto un solco per i loro successori si sono nutriti di quella che lei chiama vocazione umanistica. Solo se si riesce a instaurare un colloquio, una relazione con le persone, anche con quelle che il giudizio comune considera in preda alla follia più insensata, è possibile capire la differenza. Per instaurare una relazione con chi vive un'esperienza psicotica di lacerazione assoluta, la partecipazione emotiva è una condizione indispensabile. Se un paziente che soffre sente nel medico solo la saggezza dello scienziato, si chiude in se stesso, finendo per distruggersi o per distruggere".
- Una delle emozioni che lei prende in esame nel suo saggio è il senso di insicurezza che sempre più domina l'uomo contemporaneo, ricco di beni materiali eppure immobilizzato in una prigione di paura.
"L'insicurezza è un aspetto del carattere che ciascuno di noi può portarsi dentro, qualunque sia il grado di successo personale. Anche molte persone che si mostrano piene di certezze assolute in realtà sono corrose dal tarlo dell'insicurezza, che è molto più diffuso di quanto appaia esternamente. Ma va detto che l'insicurezza non è un dato di per sé negativo; anzi, gli individui veramente pericolosi sono coloro che detengono certezze assolute, che facilmente finiscono con l'innescare una catena di emozioni insensate, le quali possono condurre a fanatismo, terrore, distruzione. Ne abbiamo un esempio in questi giorni, con Osama Bin Laden. Benvenuta dunque l'insicurezza, se essa alberga anche nel cuore di chi è ricco, di chi esercita un potere assoluto ed è oggetto dell'invidia generale".
- Cosa mi dice dell'angoscia in cui viviamo dopo gli attentati dell'11 settembre?
"Il male aggredisce soprattutto bambini e adolescenti, che si trovano indifesi di fronte alle immagini che la televisione rovescia su di loro. Quanto a noi adulti, credo che le esperienze terribili degli ultimi mesi ci abbiano riproposto il tema della morte, ricordandoci che essa può arrivare in qualunque momento, e ci abbiano rivelato come la violenza regni nei cuori di tante persone. Oggi in molti di noi dilagano diffidenza e sfiducia. Ogni lettera inattesa che ci arriva è esaminata con sospetto, e se qualcuno ci chiede un'informazione per strada, spesso ci mettiamo istintivamente sulla difensiva".
"E' vero che assistiamo anche al diffondersi di emozioni positive: i sentimenti di compassione, di partecipazione e immedesimazione nel dolore altrui sono cresciuti dopo l'11 settembre, e queste sono certamente emozioni che ci arricchiscono. Ma sono soprattutto la sfiducia e la diffidenza ad essersi impossessate di noi, e questo è un dato davvero preoccupante. L'uomo per realizzarsi fino in fondo, infatti, deve vivere in un clima di fiducia e di apertura verso gli altri, perché, come ha scritto un grande psichiatra, la fiducia è la struttura portante della condizione umana. Quando questa viene meno, possono insorgere l'angoscia, la disperazione e, a volte, l'autodistruzione".
- Ci dia un consiglio da psichiatra: come possiamo salvarci da questa angoscia?
"Non è facile, e molto dipende dalle risorse interiori che ciascuno di noi ha. Questo momento storico fa emergere le caratteristiche più profonde della nostra personalità e del nostro modo di affrontare la vita. Se siamo interiormente ricchi, se siamo capaci di riflessione, se sappiamo seguire quel cammino misterioso che secondo Novalis ci conduce "verso l'interno", se riusciamo a cogliere il significato della sofferenza e cerchiamo di capire che cos'è il male, se ci rendiamo conto che spesso anche noi compiamo atti di violenza, per esempio quando siamo al volante di un'automobile, allora troveremo la strada per reagire nel modo giusto anche ad eventi tragici come quelli degli ultimi mesi. Molto, appunto, dipende dal nostro modo di essere, che in parte è innato, in parte trasformato dall'educazione e dall'ambiente in cui viviamo".