Si fa un gran parlare di cambiamenti climatici, di fonti di energia alternative, dell’ormai familiare – quasi fuori moda – buco nell’ozono; pensiamo con afflizione alla Foresta Amazzonica, firmiamo petizioni per gli spazi verdi nelle gabbie cittadine e (anche se con una certa difficoltà tutta italiana ad adeguarsi a regole altrove rispettate da decenni) ci sforziamo di badare quantomeno alla differenziata. Ma su quale pensiero si basa l’ambientalismo che conosciamo? Qual è il fondo filosofico del pur lodevole intento di “salvare la Terra”? Forse è il momento di cercarlo, e di chiedersi se per caso non stiamo partendo da convinzioni (e non certezze...) che rischiano di vanificare i nostri sforzi.
Quali convinzioni nutriamo? Il pensiero che vuole “curare” il nostro pianeta ha forse gli stessi pre-giudizi di quello che lo affligge con gas, scorie, bracconaggi e distruzioni fatali? Agisce, in altre parole, sostanzialmente allo stesso modo, e così facendo corre il pericolo di incappare in errori grossolani?
Queste le inquietanti (e affascinanti) domande della cosiddetta ecologia profonda (wikipedia) di cui si parla nell'articolo di Guido Dalla Casa, che mette in luce la necessità per l’essere umano di ripensare se stesso e l’ambiente. Come? Innanzitutto chiedendosi secondo quali “preconcetti culturali” si concepisce in relazione alla natura: “le svolte culturali non sembrano concrete solo perché si svolgono su tempi lunghi. Sono però molto più profonde e radicali. Probabilmente la rivoluzione copernicana e la concezione evoluzionista sembravano assai poco «concrete» agli effetti della vita pratica…”.
Segnale tratto da: Consapevole.it