Tutti hanno sentito parlare, in termini di un riduzionismo ingenuo, che il tale neurotrasmettitore "causa" l'innamoramento, o la tale area cerebrale "è responsabile" della gioia piuttosto che dell'odio o del dolore. Questa volta però la conferma dei sospetti sulla tendenza riduzionistica dell'informazione scientifica viene dagli stessi studiosi della mente che con un semplice esperimento pubblicato sulla rivista Cognition (dove l'articolo è scaricabile per intero solo a pagamento) hanno verificato una stretta correlazione tra la presenza di un grafico rappresentante l'attività cerebrale (brain imaging da fRM) e il giudizio di affidabilità scientifica dato dai lettori.
In pratica, se c'è una di
queste neuro-immagini l'articolo guadagna attenzione e credibilità
anche da parte di lettori esperti (come erano gli studenti di psicologia sottoposti all'esperimento), mentre se lo stesso testo viene
presentato senza questo grafico il gradimento scema. Gli autori dello
studio sostengono che alla base del fenomeno vi sia una sorta di
“neuro-realismo: un giudizio acritico di realtà legato al
semplice fatto dell’esistenza di un’immagine intuitivamente
riconoscibile del fenomeno mentale”. Se da un lato questo preoccupa
i neuroscienziati perché induce una visione semplicistica
del rapporto cervello-mente in cui ad un'area o ad un fenomeno
chimico-fisico vengono associati specifici processi cognitivi,
dall'altro sono gli stessi studiosi a confermare che il crescente
interesse per le scienze cognitive nasce proprio da questa visione
ingenua, in cui si possono “vedere” processi mentale prima troppo
fumosi o “filosofici”.
Senza cadere in semplicistiche critiche al metodo scientifico, si può tuttavia rilevare come sia spesso contraddittorio l'affidamento totale a verità scientifiche senza averne capito il senso e soprattutto il limite, come ad esempio la mancanza di presa in considerazione del soggetto che fa esperienza oppure dell'atteggiamento con cui si crede fermamente in una tesi scientifica (il credere è scientifico?).