asia
29 Settembre 2008

Una filosofa alla ricerca del sentire

Argomento: Filosofia

Roberta De Monticelli porta il sentire al centro della riflessione filosofica. Le esperienze ed i registri di cui è capace questa straordinaria filosofa italiana si sviluppano dall’ambito più razionale ed analitico, a quello fenomenologico, fino a quello più distintamente poetico e contemplativo.

La ragione, attraverso il lavoro di Roberta De Monticelli, non si stanca di chiedere evidenza, chiarezza e giustificazione: occorre assumersi l’impegno di sostenere la verità di ogni affermazione, di porre limiti precisi alle opinioni con rigore e precisione.

La fenomenologia, la scienza dell’esperienza, le ha fornito un metodo per la sua appassionata ricerca. Un fermarsi, un sospendere, un respiro in più per guardare. La fenomenologia è un accesso diretto alla dimensione dell’intenzionalità che l’ha portata a confrontarsi con il dibattito degli studi sulla coscienza producendo argomenti e riflessioni contro il riduzionismo materialista, ma anche contro facili dualismi spirito/materia. Nelle sue puntuali descrizioni dell’esperienza, la dimensione psicologica viene nettamente distinta da quella della coscienza (che ella non si scandalizza a chiamare “anima”): la psiche è solo una delle cose che si mostrano alla coscienza – che non è una cosa, è un modo di darsi delle cose. Da qui De Monticelli ha sviluppato un’ampia riflessione sulla individualità e sul “La conoscenza personale” (dal titolo del suo libro del 1998, Ed. Guerini) come dimensione ineludibile, come punto di origine di un orizzonte e di una realtà, di una libera scelta e di una responsabilità. E quindi come fondamento per l’agire etico.

All’interno di questa riflessione sul “me stesso” vissuto, ha uno spazio privilegiato la dimensione originaria del sentire. Il sentire non ridotto alla sua superficie di strati fisici e psichici, di eccitabilità e sensazioni, ma il momento dell’incontro con se stessi e con le cose che ci stanno a cuore. Un arresto del respiro, un tuffo del cuore, uno stringersi della gola sono solo le voci di qualcosa di ben più profondo, voci che ci parlano del nostro “sentire” inteso come quella speciale percezione delle qualità di valore delle cose. E non importa che sia un valore positivo o negativo, l’importante è che sia osservato e discriminato, riportato al suo significato, un significato né opaco né irrazionale, ma capace di un suo ordine. L“Ordine del cuore” –libro del 2003 di recente riedito da Garzanti con una nuova prefazione dell’Autrice – che riguarda gli strati più personali e del sentire, quelli dove si costruisce l’identità morale di ciascuno. Un ordine che marca bene la sua distanza sia da vaghi sentimentalismi da “và dove ti porta il cuore”, sia dalle implicazioni più esistenzialiste delle “tonalità emotive”. Roberta De Monticelli critica queste implicazioni nella misura in cui tentano di negare il valore della logica come teoria del ragionamento valido e si dimostrano incapaci di produrre un’etica in senso stretto.

La sua preoccupazione si focalizza sulla fase di estesa neutralizzazione della dimensione del sentire che sembra caratterizzare il nostro tempo. Un tempo che vive alla superficie di se stesso, che attraverso questa “riduzione del sentire” arriva alla indifferenza, all’odio, all’inaridimento. E che trova una denuncia e un deciso movimento in senso contrario in quella che si può definire una tradizione di filosofia al femminile – ma non solo, si pensi a Max Scheler – che ha attraversato tutto il ‘900, da Edith Stein a Etty Hillesum, da Simone Weil ad Hannah Arendt, a Jeanne Hersch.

La possibilità per Roberta De Monticelli è quella di fermarsi e coltivare una limpida attenzione, una silenziosa presenza al proprio cuore. Aprirsi ai momenti di poesia e bellezza: “Perché è così difficile ricominciare a riposare quando si è molto stanchi? Perchè per gioire di un volto amato, apprezzare la musica di un verso, o anche solo quella fragorosa ed alta delle cicale di una pineta estiva, o sorridere con il “sorriso innumerevole del mare” (Eschilo) bisogna puramente e soltanto sentire. Sentire e basta.. il sentire puro, libero da tendenze, pulsioni, aspirazioni, bisogni, libero di direzione e scopo. […] Felicità è piena attivazione, il vigere dalla superficie alla estrema profondità, di tutti gli strati del sentire che ci costituiscono” (da “Nulla appare invano”, Baldini Castoldi Dalai, 2006, pp.165 e 170).
Ma l’apertura al sentire è a 360 gradi, si estende anche dolore, alla angoscia, al “perché?” – che ci risvegliano, che irrompono nella attività apparentemente fruttuose della vita quotidiana e inducono ad interrogarsi in profondità sui fondamenti della propria esistenza: “Un senso di vuoto, di inanità, di nausea (direbbe Sartre) ci prende indubbiamente in certi momenti, con l’improvviso sentire la nostra contingenza e quella di tutte le cose che ci circondano, la nostra mortalità, la circostanza che essa “toglie realtà”, toglie senso e valore (così sentiamo in certi momenti) ad ogni cosa. […] in filosofia è giusto e necessario far uso di tutta l’esperienza, e in particolare del nostro sentire…” (da “Esercizi di pensiero per apprendisti filosofi”, Boringhieri, 2006, p.51).

L’impegno più recente di Roberta De Monticelli ne testimonia la natura poliedrica e ricchissima di stimoli anche per chi la legge e la segue da anni. Si tratta di un bel libro scritto con Carlo Conni (“Ontologia del nuovo. La rivoluzione fenomenologia e la ricerca oggi”, B.Mondadori, 2008) che si propone di riportare i fenomeni alla loro vera natura: non sono apparenze di una sostanza sottostante ma strutture emergenti, nuove entità; non combinazioni illusorie, ma novelle e autentiche identità. Per questo è per tutti evidente che l’acqua è più delle sue molecole, la persona più della sua struttura biologica, la melodia è più dei suoni che la costituiscono – e che le perderemmo se le volessimo ridurre alla loro base fondante. Del resto, potremmo aggiungere, anche quella apparirebbe: ci sono solo fenomeni e nient’altro.

di Roberto Ferrari
Centro Studi Asia


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